TELECAMERE IN CONDOMINIO

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Image by Pete Linforth from Pixabay

Il Tribunale di Prato, con sentenza n. 440 del 29 giugno 2023, ha stabilito che il diritto alla sicurezza debba prevalere rispetto al diritto alla riservatezza.

Per diritto alla riservatezza deve intendersi quel diritto riconosciuto ad ogni persona fisica di controllare le informazioni che la riguardano. Le norme che regolano il diritto alla riservatezza sono principalmente rinvenibili nel Regolamento Europeo 2016/679.

Per diritto alla sicurezza deve intendersi il diritto di ogni individuo alla propria integrità fisica e psichica. Il Diritto alla sicurezza è sancito dagli articoli 2, 32 e 41 della Costituzione Italiana.

Pertanto una telecamera di sorveglianza installata sul pianerottolo condominiale, ove affacciano gli ingressi di diverse abitazioni e/o o ve transitano terzi, è ammessa. Chiaramente dovranno essere rispettati gli obblighi di comunicazione prescritti dalla legge.

Il Caso

Ripercorriamo insieme i tratti della vicenda che in questa sede ci interessano per spiegare il concetto espresso dal Tribunale di Prato.

I signori Rossi erano proprietari di un appartamento sito all’interno di un complesso condominiale ove installavano una telecamera di videosorveglianza. I signori Bianchi, proprietari dell’immobile attiguo, adivano l’autorità giudiziaria chiedendo in via principale la rimozione dell’apparato di videosorveglianza.

È necessario premettere che i signori Rossi avevano preventivamente comunicato le loro intenzioni all’amministratore che, a sua volta, aveva informato i condòmini circa installazione della telecamera per fini di sicurezza.

Detta telecamera inquadrava pianerottolo, scale, ascensore e ingresso della abitazione dei signori Bianchi. Per tale ragione questi ultimi eccepivano che la famiglia Rossi, per tramite del mezzo di videosorveglianza, era in grado di registrare ogni movimento in ingresso o in uscita dalla loro abitazione. Ciò ledendo la loro sfera privata.

L’amministratore aveva invano invitato i signori Rossi a riposizionare la telecamera.

Va ulteriormente precisato che la telecamera inquadrava ascensore e porta di ingresso dell’abitazione dei signori Bianchi, mentre rimaneva fuori campo l’abitazione dei signori Rossi. Stando a quanto sostenuto dalla famiglia Bianchi, tale particolare avrebbe smentito il fine di sicurezza con cui i Rossi giustificavano l’installazione dell’apparato di videosorveglianza.

I signori Rossi si difendevano contestando che la telecamera era stata installata, previa comunicazione all’amministratore, per fini di sicurezza scaturiti proprio dalle molestie ricevute dai signori Bianchi.  

Il procedimento penale a carico dei signori Rossi venne archiviato poiché il Pm rilevò che le riprese non erano volte ad acquisire informazioni sulla altrui vita privata. Trattandosi di videocamera installata per fini personali, non necessitava di assenso condominiale. Sul punto, più volte il Garante della Privacy si è espresso affermando che qualora persone fisiche installino sistemi di videosorveglianza per fini di sicurezza, nel caso in cui i dati non vengano comunicati a terzi o diffusi è inapplicabile il Codice a tutela della privacy. Essendo gli ambienti di modeste dimensioni, la telecamera era stata posizionata per videosorvegliare l’area antistante l’appartamento dei signori Rossi e pertanto sarebbe stato inevitabile riprendere anche il vano scale e la porta dell’ascensore.

Perché il Giudice di Prato ha respinto la domanda dei signori Bianchi?

Il Tribunale di Prato ha ritenuto superflue le istanze istruttorie dei signori Bianchi e inammissibile la consulenza di parte depositata, per cui il giudizio è stato basato solo sugli atti e documenti prodotti dalle parti.

La domanda attorea è stata respinta sulla base dei seguenti assunti:  

  • dalle foto e video depositati non è emersa alcuna violazione della privacy;
  • l’installazione dell’apparato di videosorveglianza era stata comunicata a tutti i condòmini;
  • era stato affisso il cartello per segnalarne la presenza della telecamera;
  • la telecamera non era rivolta direttamente verso l’abitazione della attrice.

Nelle motivazioni della sentenza, il giudice ha tenuto conto delle ridottissime dimensioni del pianerottolo, nonché del fatto – non trascurabile – che le porte d’ingresso delle abitazioni dei signori Rossi sono attigue: esattamente una affianco all’altro. Pertanto, per i Signori Rossi sarebbe stato impossibile tutelare la propria sicurezza direzionando altrove la telecamera. Essendo le porte attigue, la telecamera doveva necessariamente essere indirizzata nella direzione in cui era posta.

Le ragioni del Tribunale di Prato hanno poi trovato conforto nel richiamo giurisprudenziale che esclude la sussistenza del reato di interferenze illecite nella vita privata[1] qualora un soggetto riprenda aree condominiali quali ad esempio pianerottoli, scale o parcheggi. Ciò in quanto sono luoghi che non assolvono alla funzione di esplicare la vita privata al riparo da sguardi indiscreti[2].

Probabilmente il convincimento del giudicante è stato determinato anche dal fatto che il Garante della privacy non ritenga sussistere la violazione del diritto alla riservatezza tutte le volte in cui si installi una telecamera sul pianerottolo di un condominio osservando le seguenti precauzioni:

  • preventiva comunicazione all’amministratore;
  • affissione di avviso visibile.

Sul punto è consigliabile consultare le “Linee guida 3/2019 sul trattamento dei dati personali attraverso dispositivi video” redatte dal Comitato Europeo per la protezione dei dati. Lo scopo delle predette linee guida è proprio quello di fornire informazioni circa l’applicazione del regolamento Europeo 2016/679 in relazione ai trattamenti di dati personali (es. immagini, audio ecc.. ecc.) attraverso dispositivi di videosorveglianza.

Conclusioni

Il diritto alla sicurezza e alla incolumità dei signori Rossi è prevalso nella sua tutela rispetto al diritto alla riservatezza rivendicato dai signori Bianchi.

Per quanto tempo possono essere conservate le immagini riprese dalla telecamera installata sul pianerottolo?

Certi che l’interrogativo sarà balenato nella mente di chi ha avuto la pazienza di leggere fin qui, cerchiamo di dare una risposta il più possibile diretta.

È principio generale, sancito dal Regolamento Europeo predetto, che le immagini acquisite non possano essere conservate più a lungo di quanto necessario per le finalità per le quali sono registrate.[3]

Secondo l’ulteriore principio di responsabilizzazione[4] è il titolare del trattamento che individua i tempi di conservazione delle immagini, considerati:

  • contesto e delle finalità del trattamento,
  • rischio per i diritti e le libertà delle persone fisiche.

Dunque:

  • considerata la normativa che determina i tempi di conservazione dei dati nell’ambito dell’utilizzo da parte dei Comuni di sistemi di videosorveglianza in luoghi pubblici o aperti al pubblico per la tutela della sicurezza urbana[5] prevede che “la conservazione dei dati, delle informazioni e delle immagini raccolte mediante l’uso di sistemi di videosorveglianza è limitata ai sette giorni successivi alla rilevazione, fatte salve speciali esigenze di ulteriore conservazione”;
  • considerato che lo scopo di videosorveglianza nel caso di specie è limitato alla sicurezza di privati e alla protezione del patrimonio;
  • considerati i principi generali che impongono come il trattamento di dati personali (quali le immagini registrate sono) debba essere ridotto al minimo in relazione alle finalità perseguite;

Una risposta univoca e valida per tutte le situazioni non esiste, il termine è stato volutamente lasciato alla responsabilità di chi tratta il dato. Tuttavia, riterremmo accettabile un periodo di conservazione di due o tre giorni, ovvero del tempo che serve per rendersi conto dell’intervenuta violazione e per denunciare la stessa alle autorità di pubblica sicurezza.


[1] Art. 615 bis Codice Penale: “Chiunque, mediante l’uso di strumenti di ripresa visiva o sonora, si procura indebitamente notizie o immagini attinenti alla vita privata svolgentesi nei luoghi indicati nell’articolo 614, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni.”

[2] Cass. n. 34151/2017

[3] GDPR: art. 5, paragrafo 1, lett. C;

[4] GDPR: art. 5, paragrafo 2;

[5] D. L. n. 11 del 23.2.2009, art. 6, co. 8;

Aurelio Salata, avvocato civilista del Foro di Roma, con particolare esperienza nel diritto del lavoro e nella contrattualistica commerciale. Da circa dieci anni assiste prevalentemente piccole e media imprese su tutto il territorio nazionale. Già docente universitario a contratto in materia di protezione dei dati personali, è oggi membro della Commissione Privacy dell’Ordine degli Avvocati di Roma ed è iscritto negli elenchi degli avvocati che l’Ambasciata degli Stati Uniti d’America mette a disposizione dei propri concittadini che necessitano di assistenza legale nel nostro paese. Lo Studio Legale Salata è in grado di assistere a tutto tondo le imprese, estere ed italiane, che operano sul nostro territorio. I quattro pilastri su cui verte principalmente l’attività sono: - controllo di gestione volto alla massimizzazione del risparmio fiscale; - gestione dei rapporti di lavoro per un risparmio sul costo del personale; - contrattualistica commerciale finalizzata ad evitare il recupero del credito; - contenzioso giudiziario sia civile che tributario. L’attività professionale dell’avvocato Aurelio Salata è particolarmente apprezzata da società in fase di cambio generazionale o di transizione verso nuovi mercati, anche con riorganizzazione dei sistemi produttivi.

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