Tasse su Criptovalute e Bitcoin: come funzionano plusvalenze, prelievi e minusvalenze

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Tasse su criptovalute e bitcoin

Come funzionano le tasse sulle criptovalute per le persone fisiche

Cerchiamo di comprendere e fornire una risposta di taglio pratico alla domanda relativa alle tasse su criptovalute, prelievi di cripto valute e anche scambi di criptovalute o trasferimento da un wallet ad un altro, in capo al titolare del conto.
L’argomento più in voga negli ultimi anni senza dubbio la compravendita di criptovalute sulle più diverse piattaforme informatiche e la tecnologia block chain.

Mi sono già occupato in passato di affrontare il tema della fiscalità connessa alle plusvalenze e le minusvalenze derivanti dall’acquisto e la vendita di monete elettroniche ma al tempo il quadro giuridico era ancora molto indietro e mancavano delle vere e proprie definizioni.

In realtà a tutt’oggi vi sono dei temi tuttora aperti che caratterizzano la fiscalità riguardante la creazione, gestione, circolazione e vendita delle criptovalute. Complesso è senza dubbio il progresso tecnologico che si attua con una velocità maggiore rispetto alla definizione del contesto e del paradigma normativo e legislativo di riferimento.

I punti aperti che potremmo riassumete sono senza dubbio preliminarmente i seguenti:

  • una qualificazione giuridica delle cripto valute
  • l’imponibilità fiscale delle plusvalenze da negoziazione
  • deducibilità o compensabilità delle eventuali minusvalenze realizzate dalla negoziazione
  • il trasferimento da un wallet all’altro
  • il realizzo o la conversione delle cripto valute in euro
  • circolazione delle criptovalute tra vivi o anche all’interno dei rapporti familiari in caso di successione o donazione
  • dichiarazione delle cripotvalute nella dichiarazione dei redditi o anche nel modello ISEE. Comprendere quindi se e in che misura e modo inserirle nella dichiarazione dei redditi del titolare.


Nell’affrontare questa serie di problematiche e proseguire nelle riflessioni dovremmo anche tenere a mente un principio di coerenza nel trattamento di queste grandezze che sarà, come al solito stressato dalla desiderio di non tassare alcunché per risparmiare sulle tasse.

Cosa sono le Criptovalute per la legge e per il fisco

È senza dubbio di fondamentale importanza quindi inquadrare giuridicamente la criptovaluta all’interno del nostro ordinamento e, in mancanza, di quello internazionale e procedere a una interpretazione per la qualificazione della tassazione sulle criptovalute ai fini del pagamento delle imposte delle tasse nella nostra dichiarazione dei redditi.

Del resto chi non è stato tentato dall’acquisto delle cripto valute che, seppur con dei drow-down importantissimi, hanno consentito ad alcuni dei loro compratori di generare importanti plusvalenze (come anche importanti minusvalenze).

Con riferimento al trattamento fiscale applicabile alle operazioni relative ai bitcoin e, in generale, alle valute virtuali, non si può prescindere da quanto affermato dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea nella sentenza 22 ottobre 2015, causa C-264/14.

In tale occasione, sebbene agli effetti dell’Iva, la Corte europea ha riconosciuto che le operazioni che consistono nel cambio di valuta tradizionale contro unità della valuta virtuale bitcoin e viceversa, effettuate a fronte del pagamento di una somma corrispondente al margine costituito dalla differenza tra il prezzo di acquisto delle valute e quello di vendita praticato dall’operatore ai propri clienti, costituiscono prestazioni di servizio a titolo oneroso.

Più precisamente, secondo i giudici europei, tali operazioni rientrano tra le operazioni “relative a divise, banconote e monete con valore liberatorio” di cui all’articolo 135, paragrafo 1, lettera e), della direttiva 2006/112/CE.

In assenza di una specifica normativa applicabile al sistema delle monete virtuali, la predetta sentenza della Corte di Giustizia costituisce necessariamente un punto di riferimento sul piano della disciplina fiscale applicabile alle monete virtuali e, nello specifico ai bitcoin.

In altre parole quanto affermava che per quello che concerne la tassazione delle valute virtuali non si può prescindere dal fatto che, pur in assenza di una specifica disciplina fiscale,… per quanto riguarda la tassazione ai fini delle imposte sul reddito delle persone fisiche che detengono Bitcoin si propende verso l’assimilazione delle criptovalute a valute estere.

Tasse su criptovalute e dei Bitcoin: fonte normativa

Per conoscere la fiscalità connessa alle cripto valute cerchiamo di partire dalla fonte normativa principale che affonda le proprie radici nella costituzione italiana.

L’articolo 23 che afferma che nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge. Questo articolo potrebbe apparire criptico ad un non addetto ai lavori, ma in realtà garantisce al cittadino italiano che queste prestazioni siano soggette ad una imposizione, che vi sia un presupposto per l’applicazione dell’imposta che vi sia una base imponibile e anche un soggetto chiaramente individuato che dovrà effettuare il pagamento.

Ritroviamo poi nel famoso articolo 53 della Costituzione Italiana che tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è uniformato a criteri di progressività.

Abbiamo visto infatti come l’articolo dedicato agli scaglioni Irpef quella di poter imposta sono progressive ossia più cresce il reddito maggiore sarà l’aliquota media a questo applicabile.ù

Anche se sappiamo che questa progressività dell’imposta ha creato una frattura consistente nella società e che probabilmente sarà oggetto di variazione all’interno della riforma fiscale del governo Draghi.

In questo modo il cittadino, insieme agli altri ripartisce in modo equo le spese della pubblica amministrazione per la produzione di beni e le rogazione di servizi pubblici.

Ai fini dell’individuazione della tassazione delle cripto valute è necessario rintracciare la fonte normativa all’interno del testo unico delle imposte sui redditi anche detto Tuir. Per chi non lo conoscesse parliamo del d.p.r. del 22 dicembre 1986 numero 917. Questo testo unico disciplina l’imposta sul reddito delle persone fisiche e delle persone giuridiche a.

All’interno sono individuate sei tipologie di redditi tassabili che sono il reddito agrario, reddito di lavoro autonomo, reddito di lavoro dipendente, il reddito delle società, reddito di capitale e infine redditi diversi.
È bene chiarire fin da subito alcuni concetti riguardanti la tassazione delle cripto valute e dei Bitcoin. Non troviamo infatti un articolo del Tuir specificatamente dedicato alla tassazione di questi valori mobiliari. Questo naturalmente genera un problema a livello di codificazione civilistica e fiscale della fattispecie potenzialmente imponibile fiscalmente.
Altro concetto da fissare è quello secondo cui nel testo unico delle imposte sui redditi prevale un’interpretazione letterale della norma. Tuttavia difficilmente è una componente di reddito sfugge alla tassazione in virtù di tale principio.


Fiscalità Criptovalute e Bitcoin: cosa dice la legge


Fatta questa doverosa premessa la domanda che ci si pone e come debbano essere tassate queste grandezze, o più precisamente i prelievi (ossia i “realizzi”), le plusvalenze derivanti dalla vendita di cripto valute e anche se le minusvalenze eventualmente subite.

Laddove la qualificazione fosse difficile l’agenzia delle entrate potrebbe anche decidere di adottare un criterio basata sulla natura della attività posta in essere e non sulla natura del bene scambiato.

Importante è anche la circolazione di questi diritti patrimoniali anche se questo argomento sarà oggetto di specifico approfondimento nell’articolo dedicato alla successione e donazione di criptovalute. Qualsiasi bene suscettibile di quantificazione economica infatti potrebbe rientrare non solo nell’attivo ereditario, al pari di un qualsiasi altro bene mobile o immobile soggetto alle discipline del nostro codice civile (legittima disposizioni testamentarie lesioni eccetera), e potrebbe essere qualificato come un reddito imponibile in capo al titolare del bene.

Come è facile attendersi parte della dottrina cerca di escludere da tassazione queste grandezze o quantomeno di posticiparne la tassazione o di ricondurla fattispecie soggetti a tassazione agevolate o forfettarie. Dall’altra parte l’erario cerca di qualificare questa possibile come reddito soggetto alla tassazione ordinaria per scaglioni.

Non è la prima volta nella storia e non credo che sarà l’ultima in cui il gioco delle parti si svolge in questo modo. L’abbiamo visto il tempo dei proventi derivanti dalle fonti rinnovabili e lo stiamo vedendo anche oggi con le cripto valute e Bitcoin.

Come detto in premessa non esiste nel Tuir una specifica disciplina per la tassazione delle cripto valute anche se il compito di noi professionisti e quelli di verificare se possono essere attribuiti a una delle sei categorie di reddito evidenziate sopra e capire all’interno di quale comma considerarle e dal quale fare emergere uan specifica modalità di tassazione.

Per fare questo dobbiamo inquadrare giuridicamente la cripto valuta ossia rispondere alla domanda cos’è e come funziona.

Cos’è e come funziona una criptovaluta?

Parliamo di una moneta virtuale inserita nel decreto legislativo 231 del 21 novembre 2007, più precisamente all’articolo uno, comma due, lettera qq).

La moneta elettronica rappresenta un mezzo di scambio utilizzato per l’acquisto di beni e servizi o per finalità di investimento.


Tuttavia dal punto di vista fiscale la domanda da porsi è che cosa sono oppure a che cosa sono assimilabili le cripto valute.
Alcuni sostengono che trattasi di certificati di massa, altri che trattasi di valute. Altri addirittura sostengono che sono veri e propri merci al pari di scarpe o banane. Altri si limitano a dire che sono strumenti finanziari. Naturalmente dietro ciascuna di queste diverse interpretazioni vi sono diversi trattamenti fiscali e quindi potenziali risparmi in termini di tasse da parte del soggetto titolare.

Il principale problema/opportunità delle criptovalute e che non hanno un proprio corso legale e e questo le fa quindi sfuggire dalla tassazione immediata come valuta anche se prendono proprio il nome di cripto valute. Sicuramente nel breve periodo sarà difficile che queste abbiano un proprio corso data ancora la non assoluta certezza e la scarsa regolamentazione a cui sono soggette.

Questo è bene di marcarlo in quanto ormai sappiamo che anche su Autoscout alcuni concessionari si fanno pagare in criptovalute o monete virtuali tuttavia sappiamo che seppur prendono tale nome in realtà non hanno un corso legale per cui non soddisfano determinati requisiti e standard di sicurezza per cui dovete sapere quella cui andare incontro qualora effettuato i pagamenti in questo modo.
Viene più facile quindi immaginare che il pagamento sulla base di criptovalute venga richiesto più che altro per cercare di eludere la normativa fiscale e non sottoporre a tassazione la vendita.

Tuttavia sappiamo benissimo che anche le monete non virtuali ma materiali, al tempo dovevano essere riconosciute e quindi i paesi con le banche emittenti dovevano rispettare determinati requisiti e standard.

Come fare allora se non abbiamo una vera e propria definizione?

Ci viene in soccorso la Corte di Giustizia Europea che per prima inizia a introdurre il concetto di valute virtuali che, anche senza essere considerati mezzi di pagamento legali, costituiscono comunque un mezzo di pagamento accettato dalle parti di una transazione.
Del resto, seppur non immediatamente qualificabili come grandezze disciplinate dal Tuir, è indubbio che le cripto valute siano considerati dei mezzi di pagamento che siano accettati da alcune controparti e comunque dalle parti che caratterizzano uno scambio.

Già in un primo articolo di diversi anni fa cerca ai di far comprendere come, aldilà del riconoscimento legale della cripto valuta, era importante far emergere il concetto di capacità contributiva da parte del contribuente che realizza un profitto da questo strumento di pagamento. Anche perché dalla compravendita possono generarsi delle plusvalenze imponibili o anche delle Minusvalenze che potrebbero essere deducibili dal reddito fiscale. Tuttavia è sempre difficile capire se questa capacità contributiva maggiore si manifesta già al momento dell’incremento di valore della criptovaluta o al momento del realizzo (compro/vendo una cosa in bitcoin o altra valuta virtuale) o addirittura, solo al momento di effettiva conversione in una moneta avente corso legale (scelta più ragionevole).

Inutile dire che la prima cosa che viene in mente nel parlare delle cripto valute sono le plusvalenze e le minusvalenze di negoziazione che possono essere generate dalla loro compravendita. Nonostante questo in dottrina ci sono ancora persone che spingono affinché queste grandezze non siano assimilabili a degli impieghi di capitale. Non ne conosco veramente il motivo in quanto trattandosi di grandezze che sono negoziate risulterebbe difficile non assimilarla redditi di capitale.

Posso comprendere il dubbio invece sul momento realizzativo in quanto effettivamente se non hanno un corso legale è come se fosse “cose” che hanno una quotazione, ma sono pur sempre delle cose che sono scambiate al pari di una permuta. Diversamente se sono assimilabili a delle valute, come è ragionevole attendersi per la finalità con cui sono state create e per le metodologie di circolazione delle stesse appare evidente che la metodologia da seguire per trattarle è quella che vediamo anche per altre valute estere.

Da una parte riscontro che la cripto valuta è assimilabile ad un valore mobiliare e più precisamente a una valuta estera che rappresenta senza dubbio un diritto a cedere o acquistare a termine degli strumenti finanziari. Tuttavia se andiamo a vedere la “definizione di strumento finanziarionel TUF – Testo Unico Finanza il mezzo di pagamento è esplicitamente escluso dagli strumenti finanziari.

Sappiamo che il legislatore non consentirà mai questo approccio anche se in linea teorica le plusvalenze e le minusvalenze da negoziazione, derivanti oggi da questa tipologia di grandezze economiche, potrebbe effettivamente avere i margini per sfuggire ad una tassazione, non essendo ancora ben definito il quadro normativo di riferimento.

Viene difficile tuttavia immaginare che nel momento in cui un contribuente realizzi magari 200.000 € di proventi derivanti da cripto valute e non le dichiari della propria dichiarazione dei redditi non sia soggetto ad accertamento fiscale automatico da parte dell’agenzia delle entrate. Anche per il solo fatto che l’incasso di queste somme rientrerebbero nelle normative antiriciclaggio che la banca deve obbligatoriamente segnalare.

Tuttavia è bene sapere che in sede contenzioso tributario vi sarebbero degli elementi di sostanza da portare all’attenzione del giudice tributario per cui le prospettive di soccombenza, seppur elevate non sarebbero pari al 100%.

Criptovalute come valute estere: tassazione

Appare ragionevole considerarle a mio avviso come delle vere e proprie valute estere. Se dovessimo seguire questo ragionamento ci viene in soccorso la Risoluzione numero 67 del 2010. Questa risoluzione aveva come riferimento la tassazione delle plus e minus sul FOREX (ve lo ricordate oppure già ve lo siete scordato?).

Le operazioni di compravendita di valuta a pronti descritte nell’interpello vengono effettuate sul mercato Forex attraverso la conclusione on line di contratti cosiddetti “spot e rolling spot“.

Ai fini della effettuazione di tali operazioni di compravendita per il tramite di intermediari specificamente abilitati, è in genere richiesta l’apertura di un conto corrente dedicato presso una primaria banca italiana (cd. banca depositaria) sul quale viene depositata una somma di denaro (cd. conferimento) vincolata a favore dell’intermediario. Le somme giacenti sono costituite a cauzione delle operazioni che quest’ultimo intraprende per ordine e conto del cliente.

L’operatività sul mercato Forex prevede il regolamento delle transazioni mediante l’utilizzo di un margine. Pertanto, è espressamente esclusa la possibilità di consegna fisica dei controvalori della valuta intermediata.

Le operazioni sono effettuate nel termine giornaliero (contratti “spot“). Qualora il cliente intenda mantenere in essere oltre la giornata lavorativa le posizioni di mercato assunte, può farlo mediante ordine di chiusura delle operazioni giornaliere e contestuale ordine di riapertura per il giorno successivo, con data valuta rinnovata al giorno di liquidazione successivo (contratti “rolling spot“).

Ne consegue che al termine della giornata lavorativa il cliente non potrà mai avere una giacenza di valuta estera.

e ANCORA

Ciò premesso, in merito al regime impositivo delle operazioni aventi ad oggetto valute estere, l’articolo 67, comma 1, del TUIR menziona tre distinte fattispecie. La prima, prevista dalla lettera c-ter), dà rilevanza esclusivamente a talune specifiche fattispecie per le quali è presunta ex lege una finalità d’investimento finanziario e cioè nel caso in cui le valute siano cedute a termine ovvero immesse su depositi o conti correnti sicché, agli effetti di tale disposizione, le mere cessioni a pronti non sono suscettibili di produrre differenziali aventi rilevanza reddituale. Inoltre, per evitare di attrarre a tassazione fattispecie non significative, il comma 1-ter del medesimo articolo 67 del TUIR prevede che la tassazione delle plusvalenze derivanti dalla cessione di valute rivenienti da depositi e conti correnti si ha solo nel caso in cui la giacenza in valuta nei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente sia superiore a euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo d’imposta in cui la plusvalenza è stata realizzata.

La seconda fattispecie, prevista dalla successiva lettera c-quater), attribuisce rilevanza fiscale alle operazioni che determinano un obbligo di acquistare o cedere a termine valute estere, con la conseguenza che eventuali operazioni per le quali tale obbligo non sorge non possono rientrare nella fattispecie impositiva in esame. L’ipotesi normativa comprende anche i cosiddetti “contratti derivati”. In particolare, sulla base degli effetti giuridici che ne scaturiscono è possibile distinguere due diverse categorie di contratti.

La prima è costituita dai contratti a termine di tipo traslativo, che sono quelli da cui deriva l’obbligo di cedere o acquistare a termine le valute estere. La seconda è costituita dei contratti a termine di tipo differenziale, che sono quelli da cui deriva l’obbligo di effettuare o ricevere a termine uno o più pagamenti commisurati alle valute estere.

L’ultima fattispecie è contenuta nella lettera c-quinquies), che attrae ad imposizione le plusvalenze realizzate mediante rapporti aventi contenuto finanziario attraverso cui possono essere conseguiti differenziali positivi e negativi in dipendenza di un evento incerto. Tale disposizione, come chiarito dalla Circolare n. 165/E del 24 giugno 1998 (par. 2.2.5), è finalizzata ad evitare che i rapporti (non soltanto, quindi, i contratti) aleatori di natura finanziaria, posti in essere al fine di conseguire differenziali positivi e negativi, non inquadrabili nelle fattispecie indicate nelle lettere c-ter) e c-quater), possano sfuggire ad imposizione. Pertanto, in tutti i casi in cui un contribuente ponga in essere una pluralità di contratti o atti, tra essi collegati, aventi ad oggetto valute estere, finalizzati a conseguire differenziali positivi o negativi in dipendenza di un evento aleatorio (quale l’andamento delle valute estere), i predetti differenziali assumono rilevanza reddituale agli effetti della lettera c-quinquies) del comma 1 dell’articolo 67 del TUIR.

Alla luce di quanto sopra esposto, si ritiene che le plusvalenze derivanti dalle operazioni di compravendita di valute non possano essere assoggettate a tassazione sulla base delle disposizioni contenute nell’articolo 67, comma 1, lettera c-ter), del TUIR in quanto il contratto posto in essere non è configurabile come una cessione a termine di valute estere. D’altra parte, non si realizzano neanche i requisiti per poter rientrare nell’ambito applicativo del comma 1-ter del medesimo articolo non verificandosi la condizione del superamento della giacenza media del conto corrente.

L’operazione, inoltre, non presenta tutte le caratteristiche previste per configurare un contratto derivato i cui differenziali sono assoggettati a tassazione ai sensi della descritta lettera c-quater).

Tuttavia, è certamente rinvenibile un rapporto avente ad oggetto valute estere suscettibile di produrre differenziali positivi o negativi in dipendenza dell’andamento del cambio della valuta estera rispetto all’euro, inquadrabile nell’ambito della citata lettera c-quinquies). Pertanto, la plusvalenza realizzata alla fine della giornata, dalle persone fisiche al di fuori dell’esercizio di un’attività d’impresa, deve essere indicata nella dichiarazione dei redditi del contribuente (quadro RT – sezione II) e in tale sede deve essere applicata l’imposta sostitutiva nella misura del 12,50 per cento del suo ammontare.

L’imposta sostitutiva citata nella risoluzione oggi è salite al 26% (così, in un soffio e senza che nessuno dicesse alcunchè), forse pensavate ai migranti…

La potete scaricare gratuitamente qui sotto e dovresti leggerla nell’ottica di assimilare le cripto valute ad una valuta estera.

Operazioni in criptovalute esenti da imposte: quali sono i casi di esenzione

Se seguiamo questo ragionamento la risoluzione individua alcune fattispecie di operazioni che sfuggono però alla tassazione in quanto non sono considerate come aventi finalità speculative o di investimento finanziario.

Più precisamente sono tassate solo le plusvalenze realizzate mediante cessione a pronti di valute estere rinvenienti da depositi o conti correnti, se la giacenza in valuta nei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento, sia superiore a euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui nel periodo di imposta in cui la plusvalenza è stata realizzata.

La finalità di questa norma consente la verità è che le specie non sarebbero significativamente apprezzabili dal punto di vista del gettito erariale.

Tuttavia anche questa interpretazione ha dei punti deboli in quanto il deposito di cripto valute non è un deposito riconosciuto al pari di un conto corrente bancario facente parte del circuito internazionale.

Seguendo questo ragionamento in una prima istanza si potrebbe addurre come motivo della non imponibilità il fatto che queste cripto valute sono custodite dai privati. Tuttavia non è sempre così in quanto talvolta queste sono anche gestite dalle banche o da altri intermediari abilitati.

Tuttavia l’assimilazione avrebbe una caratteristica dirimente rispetto alla tassazione non solo delle somme giacenti in questi wallet/depositi, ma anche degli eventuali prelievi, ossia “realizzi” dai conti, che potrebbero rappresentare i presupposti della tassazione.

Si verrebbero quindi a creare due scenari secondo cui se il contribuente persona fisica gestisce tutto in casa e si colloca al di sotto di quelle soglie sopra definite potrebbe sfuggire dalla tassazione. Tuttavia sarebbe indotto a restare “nascosto” per non far emergere materia imponibile e tassabile per il fisco (esponendosi così ai draw-dawn di questa valuta perchè incoraggiato alla pagamento delle imposte). Il che, a mio modesto avviso, potrebbe rappresentare un male in quanto contribuisce ad esporre il contribuente alla ricerca continua di nuove forme di impiego e di circolazione delle monete virtuali.

Cercando in rete ho letto anche lo stralcio dell’interpello non pubblicato dell’agenzia delle entrate di poco tempo fa avente proprio ad oggetto le criptovalute. Qui l’agenzia delle entrate afferma che le cessioni a pronti di valuta virtuale non danno origine a redditi imponibili mancando la finalità speculativa, salvo generare un reddito diverso qualora la valuta acceduto arrivi da prelievi porta fogli elettronici sia i wallet, per i quali la giacenza media superi un controvalore di euro 51.645,69 per almeno sette giorni lavorativi continui.
Questa giacenza media va verificata rispetto all’insieme dei conti, depositi o wallet detenuti dal contribuente indipendentemente dalla tipologia degli stessi.

Superamento della franchigia e tassazione delle criptovalute

Una volta superata la franchigia dei 51.645,69 euro anche l’agenzia delle entrate è concorde nel ritenere che debbano essere oggetto di tassazione. Una volta superata la soglia sarà necessario effettuare il calcolo della plusvalenza sulle criptovalute imponibile fiscalmente ai fini IRPEF.

Per il calcolo sarà necessario mettere a confronto il costo di acquisto della moneta virtuale e il prezzo di vendita. La metodologia in sintesi è la stessa che avremo con qualsiasi altra più valenza tassabile.

Esempio tassazione e superamento soglia

Se in un anno di imposta acquistate 10 bitcoin ad un certo tasso di cambio BTC/EUR supponiamo 1.000. Nello stesso anno supponiamo per esempio che li vendete a 1200 convertendoli in euro realizzando così una plusvalenza di 2 mila euro. Questa plusvalenza non sarà tassabile in quanto avete rispettato la soglia sopra indicata. Tuttavia qualora al contempo avevate anche una giacenza di in deposito di un’altra valuta estera (virtuale o no non importa) supponiamo di 50 mila euro allora avete superato la soglia. La plusvalenza sarà quindi tassabile.

Costo della Criptovaluta

Ai fini della quantificazione del costo prenderemo in considerazione il costo effettivamente sostenuto dal contribuente per l’acquisto di quella cripto valuta. Laddove vi siano stati più acquisti si prenderà costo medio ponderato ossia la media ponderata gli acquisti.

Sappiamo tuttavia che potrebbe non essere agevole provare l’effettivo costo in quanto non trattandosi di intermediari non abilitati e disciplinati non rilasciano estratti conto o ricevuto sempre per cui sarebbe possibile al più dimostrare il costo con i bonifici effettuati nella speranza che siano anche identificate le quantità di valuta preso. La quantità serve in quanto nel caso di più acquisti e vendita sarà necessario quantificare il CMP o costo medio ponderato ossia prezzo X quantità.

Prezzo vendita Criptovaluta

Per quello che concerne il prezzo di vendita invece prenderemo in considerazione il controvalore in euro alla data di realizzo.

Tassazione plusvalenza Criptovalute

Le plusvalenze che si originano dalla vendita saranno soggette all’imposta sostitutiva dell’Irpef con applicazione dell’aliquota del 26% che dovrà essere pagata tramite modello F24 .
Ci dedicheremo in successivi articoli a fare degli esempi pratici di gestione di un’operazione di acquisto e successiva vendita di cripto valute con maturazione di una plusvalenza imponibile che preveda il pagamento dell’imposta sostitutiva e anche della compilazione della dichiarazione dei redditi.

Conclusioni

In sintesi, la tassazione dei redditi generati dalle criptovalute sono assimilabili ad un reddito diverso ex articolo 67 o 68 del Tuir.

La tassazione delle operazioni di compravendita che rispettino tempi e franchigie sopra riportate potrebbero essere escluse dalla tassazione. Al superamento della franchigia o anche delle tempistiche di giacenza si verrebbero a creare delle fattispecie imponibili e tassabili al momento del realizzo ossia della vendita o conversione in una valuta avente corso legale.

Il mio personale parere tuttavia è diverso dall’attuale dottrina prevalente e discende dal fatto che le criptovalute non hanno un loro corso legale. So che molti non saranno d’accordi con me (anche perchè propenderei pe runa tassazione per scaglioni di reddito ordinaria in luogo dell’applicazione della ‘imposta sostitutiva del 26%) ma a mio modesto avviso OGGI le plusvalenze e la negoziazione di cripto valute bitcoin, etc, siano da tassare come reddito diverso ex articolo 67 del Tuir. In parole povere le plusvalenze realizzate dalla negoziazione di Bitcoin o da altre cripto valute siano tassate sulla base degli ordinari scaglioni di reddito Irpef. Questo sia nel caso superino sia nel caso non superino al soglia prevista per le valute estere (che invece un corso legale). In altre parole assimilarle a valute estere in assenza di un corso legale mi sembrerebbe una forzatura, ma mi rendo conto che non troverò molti concordi con me.

Quando avranno il loro corso legale allora potranno effettivamente rientrare nell’ambito della fattispecie “valute estere” con tutte le conseguenze descritte sopra (aliquota 26% sulle plusvalenze realizzate e compensazione minusvalenze fino a concorrenza delle plusvalenze).

Come potrebbe facilmente immaginarsi assisteremo fiumi di articoli di dottrina che cercheranno di sostenere la non imponibilità di queste grandezze sulla base di elementi tecnici e sostanziali che riguardano le caratteristiche e il funzionamento di queste valute virtuali. Dall’altra parte l’amministrazione finanziaria avrà sicuramente chiusura rispetto a queste interpretazioni cercando di attrarre a tassazione con aliquota massima ossia scaglioni Irpef le fattispecie realizzative che effettivamente danno luogo ad una maggiore capacità contributiva da parte del contribuente.

Coloro che giungono alla non assimilazione dei proventi generati dalla negoziazione delle cripto valute a fattispecie imponibili non possono trovarmi concorde. Non è infatti ragionevole escludere dalla tassazione dei proventi generati che aumentano realmente la capacità contributiva del contribuente.

C’è da dire che il quadro normativo ancora quindi presta il fianco ad interpretazioni più o meno aggressive e che, laddove dev’essere sfociare in un contenzioso, potrebbero in linea teorica essere accolte dai giudici tributari.

Tuttavia sconsiglio di intraprendere un percorso aggressivo verso il fisco a meno che non abbiate la capacità economica sufficiente a sostenere le conseguenze di un mancato riconoscimento della non imponibilità con applicazione di sanzione e interessi nonché del costo del contenzioso. Le probabilità infatti che il legislatore riconosca la non imponibilità dei proventi è piuttosto remota nonostante la non completa definizione del quadro normativo vigente.

Infine, inutile dire che per mia formazione non sono avvezzo alla compravendita di cripto valute in quanto, a differenza di molti altri ho una mia cultura finanziaria che mi spinge a costruire portafogli robusti e resilienti, piuttosto che giocare d’azzardo con le varie cripto valute, ma questo è un altro discorso che approfondiremo in futuro.

Dichiarazione dei redditi nel caso di criptovalute, BITCOIN, wallet, depositi, minusvalenze e plusvalenze

Dichiarazione Plusvalenze e Minusvalenze derivanti dalla vendita

Guida alla Tassazione delle Cripto valute e Bitcoin

Calcolo Tasse sulle plusvalenze generate dalle Criptovalute e dai Bitcoin

Trattamento IVA e fatturazione per chi intermedia Criptovalute

Compensazione Minusvalenze e Plusvalenze Criptovalute e BITCOIN

Chiarimenti dall’agenzia delle entrate sul trattamento Iva delle operazioni con BITCOIN

Vi segnalo un importante chiarimento fornito dall’agenzia delle entrate sulla natura e trattamento fiscale Iva delle operazioni con BITCOIN e altre monete e ripercorrono in modo semplice anche la natura e le modalità con qui questa viene utilizzata.

3 Commenti

  1. Risoluzione numero 67 del 2010. Questa risoluzione aveva come riferimento la tassazione delle plus e minus sul FOREX (ve lo ricordate oppure già ve lo siete scordato?).

    Diciamo che ci siamo proprio dimenticati della Risoluzione dell’Agenzia delle Entrate n. 102/E del 25 ottobre 2011, successiva che smentisce è azzera del tutto il c-quinques…
    Fa rientrare i contratti di ordini spot nella categoria dei cfd… Quindi niente soglia esentasse per chi usa operatori finanziari anche con “prodotti aventi ad oggetto valute virtuali” come chiarito dalle Avvocato Generale dello Stato. Altro che soglia esentasse di 51k.

    Discorso diverso usando gli exchange che sono operatori non finanziari… Se sono definiti per Legge operatori non finanziari.. Non si capisce perché dovrebbero essere attività finanziaria quelle fatte con operatori non finanziari. Ma finiamola. Le cripto non valgono assolutamente nulla. Non si tratta di una materia prima, con un dato valore intrinseco, potenziale, dato dal suo successivo impiego, nè di un’azienda con utili e relativo patrimonio aziendale…insomma si tratta soltanto di un valore simbolico, che sussiste fino a quando ci sarà un sufficiente numero di persone che intendono scambiarsele come figurine degli album dei calciatori, che intendono darglielo questo valore.

  2. …..”lo scopo delle cripto è sostituirsi alle speculazioni delle valute correnti……Io sono del parere che vanno dichiarate solo le operazioni di compravendita di valute/criptovalute se hanno generato plusvalenze/minusvalenze ma non nel caso vengano usate per acquisti di merce, addio articolo 53…..”….detto tra noi non so quanto la commissione bilancio legga questo blog per cui non se se questo commento arriverà anche a loro…..diciamo che in 5 righe è riuscito a scrivere delle nefandezze oltremisura….ma dove formate questi pensieri? Su quali blog attira click sono scritte queste ca….

  3. Ma se compro il pane e lo pago in criptovaluta (lo scopo delle cripto è sostituirsi alle speculazioni delle valute correnti) devo calcolare ogni volta eventuali plusvalenze (ma anche minusvalenze) e dichiararle nel quadro RT?
    Ci vuole un programma di contabilità solo per questo!
    Io sono del parere che vanno dichiarate solo le operazioni di compravendita di valute/criptovalute se hanno generato plusvalenze/minusvalenze ma non nel caso vengano usate per acquisti di merce. Basta pensare ad esempio quando acquisto un computer a NewYork in Dollari, se nel frattempo tra quando ho cambiato e quando ho fatto l’acquisto, il Dollaro ha perso il 50%, mica devo dichiarare la plusvalenza!
    Inoltre si profilerebbe una doppia tassazione, perchè chi vende se genera un profitto, paga le tasse a scaglioni su quello, e noi l’IVA.
    Altrimenti addio Art.53…. vabbè che con G. Amato è stato fatto fuori lo stesso…
    Allora abroghiamolo.

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