Mobbing: come riconoscerlo per tutelarsi

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Spesso, spessissimo, i lavoratori che ritengono di aver subito dei torti dal proprio datore di lavoro contattano il mio studio denunciando di essere vittima di mobbing. Il termine è assolutamente inflazionato ed è quindi necessario, con umiltà, offrire un piccolo contributo nel tentativo di aiutare chi cerca di documentarsi e di tutelare i propri diritti di lavoratore o datore di lavoro.

Cos’è il mobbing?

Quello che comunemente viene chiamato con il termine di origine anglosassone “Mobbing”, altro non è che una molestia psicologica subita sul posto di lavoro.  Il mobbing si concretizza quando il lavoratore subisce un insieme di condotte attuate ai suoi danni, protratte nel tempo e con caratteristiche persecutorie finalizzate alla sua emarginazione o espulsione dal contesto lavorativo.

Dette condotte, perpetrate sia dal datore di lavoro che dai colleghi, materiali o provvedimentali che siano, devono essere indipendenti dagli specifici obblighi contrattuali del rapporto lavorativo.

Nei casi di mobbing la lesione del bene giuridico protetto deve essere verificata in concreto, considerando l’idoneità offensiva della condotta denunciata, che può essere dimostrata per la sistematicità e durata dell’azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificatamente da una connotazione persecutoria.

Il mobbing può essere classificato in:

  • Verticale: anche detto “bossing”, rappresenta la condotta lesiva perpetrata da parte datoriale o da superiori gerarchici;
  • Orizzontale: quando la condotta lesiva è posta in essere da parte dei colleghi del soggetto denunciante.

Quali sono gli elementi costitutivi del mobbing?

Gli elementi caratterizzanti le molestie subite sul posto di lavoro sono: 

Persecuzione di carattere psicologico

Le condotte persecutorie consistono in:

  • atti di aggressione e denigrazione verbale del lavoratore in privato o alla presenza di terzi, colleghi e non;
  • comportamenti di carattere commissivo od omissivo, finalizzati all’esclusione e isolamento del dipendente dall’attività organizzativa e produttiva. Tali condotte vengono sovente poste in essere evidenziando diversità fisiche, morali, intellettuali, religiose, politiche o anche territoriali (si pensi ad esempio ai colleghi di lavoro i quali: non parlino con il soggetto mobbizzato, facciano circolare voci false sul suo conto – anche tramite social network -, o siano soliti ridicolizzarlo per sue peculiarità);
  • atti di contenuto tipico, cioè strettamente legati al rapporto di lavoro ma che configuirino un ingiustificato accanimento nei confronti del singolo lavoratore (Es. controllo eccessivo della puntualità, discriminazioni di avanzamento di carriera, ripetute sanzioni disciplinari contra legem);

Durata delle molestie nel tempo

  • I tipi di aggressione detti sopra, per configurarsi mobbing, debbono essere continuativi, ripetuti nel tempo, oltre che sistematici.

Spesso si tratta anche solo di atti che, se presi singolarmente, non hanno una connotazione necessariamente negativa e, comunque, non evidenziano alcuno disegno persecutorio.

Sul punto sia dottrina che giurisprudenza convengono nel ritenere che per la configurazione del mobbing la ripetitività dell’atto di aggressione ai danni del dipendente debba avere una cadenza fissa, settimanale o mensile, per una durata non inferiore a sei mesi;

Elemento psicologico

Affinché si configuri mobbing è necessario provare l’elemento psicologico che muove il predetto disegno di isolamento ed esclusione del lavoratore dal contesto produttivo aziendale.

La giurisprudenza è granitica nel porre l’onere probatorio a carico del lavoratore, che dovrà dimostrare come la condotta subita sia frutto di volontarietà da parte di chi la mette in atto e che sia diretta proprio alla sua esclusione dal contesto produttivo aziendale;

Danno alla salute

Affinché possa essere accertato il c.d. mobbing, il lavoratore dovrà inoltre dimostrare di aver subito un danno alla salute. Per esperienza, la via migliore per dimostrare tale danno è quella di rivolgersi ad un centro antimobbing del Servizio Sanitario Nazionale. Questi centri pubblici sono specializzati nel seguire i pazienti per dei periodi di tempo necessari ad accettare ed eventualmente certificare i danni alla salute che riscontrano. Si tratta di centri specializzati pubblici, solitamente a carattere regionale.

Con il presente contributo, senza presunzione di completezza, si spera di aiutare il cittadino, non giurista, a discernere dal mobbing tutti gli altri comportamenti ingiusti e/o discriminatori che può subire sul luogo di lavoro. Tali comportamenti vanno certamente contrastati nell’intento di creare ambienti di lavoro salubri, dove ogni lavoratore possa esprimere al meglio il proprio potenziale.

Non bisogna mai dimenticare che il datore di lavoro ha l’obbligo di garantire la salubrità dell’ambiente di lavoro. È quindi possibile tutelarsi da determinati comportamenti con strumenti propri, senza necessariamente denunciare un mobbing che difficilmente verrà accertato dai tribunali. 

Ogni singolo caso meriti una valutazione specifica, anche perché il mobbing non è l’unica gradazione possibile di patologia del rapporto lavorativo. Esiste ad esempio lo “Straining”, ovvero un mobbing attenuato. Questa costruzione dottrinale consiste in condotte comunque ostili e discriminatorie, ma sporadiche e/o non continuate nel tempo, che non per forza – almeno esplicitamente – tendono all’espulsione o isolamento del lavoratore dal contesto produttivo. Si tratta di comportamenti quali l’assegnazione di mansioni incompatibili con le attitudini del lavoratore, il trasferimento presso sedi di lavoro appositamente scomode, turnazioni inconvenienti, dotazione di mezzi di lavoro a norma ma scomodi (es. sedie da ufficio certificate ma scomode), dotazione di personal computer molto lenti ecc. ecc.  Quelle elencate sono tutte condotte che difficilmente porterebbero all’accertamento di mobbing in tribunale e che pertanto vanno trattate con altre procedure e mezzi d’impugnazione. Per tale ragione è necessario affidarsi a professionisti che conoscano bene la materia e, soprattutto, gli orientamenti giurisprudenziali delle sezioni di merito, oltre che della Suprema Corte di Cassazione.

Aurelio Salata, avvocato civilista del Foro di Roma, con particolare esperienza nel diritto del lavoro e nella contrattualistica commerciale. Da circa dieci anni assiste prevalentemente piccole e media imprese su tutto il territorio nazionale. Già docente universitario a contratto in materia di protezione dei dati personali, è oggi membro della Commissione Privacy dell’Ordine degli Avvocati di Roma ed è iscritto negli elenchi degli avvocati che l’Ambasciata degli Stati Uniti d’America mette a disposizione dei propri concittadini che necessitano di assistenza legale nel nostro paese. Lo Studio Legale Salata è in grado di assistere a tutto tondo le imprese, estere ed italiane, che operano sul nostro territorio. I quattro pilastri su cui verte principalmente l’attività sono: - controllo di gestione volto alla massimizzazione del risparmio fiscale; - gestione dei rapporti di lavoro per un risparmio sul costo del personale; - contrattualistica commerciale finalizzata ad evitare il recupero del credito; - contenzioso giudiziario sia civile che tributario. L’attività professionale dell’avvocato Aurelio Salata è particolarmente apprezzata da società in fase di cambio generazionale o di transizione verso nuovi mercati, anche con riorganizzazione dei sistemi produttivi.

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