Il contratto a tutele crescenti per il lavoratore: vantaggi e svantaggi

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Articolo 18, licenziamento e tutele crescentiPrima di concentrarsi nella descrizione dei vantaggi e degli svantaggi del contratto a “tutele crescenti”, è importante capire di cosa si tratta e perché, nell’ultimo anno, è stato spesso al centro di accese discussioni e polemiche.

Caratteristiche del contratto di lavoro a tutele crescenti

Si tratta di una ridefinizione dei rapporti tra datore di lavoro e lavoratore. IN estrema sintesi si abbandona l’obbligo di reintegro del lavoratore licenziato ingiustamente e la si sostituisce con una indennità risarcitoria parametrica agli anni di anzianità di servizio con dei valori minimi e massimi.  E’ una delle tante misure che il Governo Italiano sta cercando di portare all’attuazione nell’ambito della riforma del lavoro.

Qual è lo scopo di questa nuova tipologia contrattuale?

Mettere ordine nell’intricato mondo lavorativo italiano, eliminando tutte quelle che sono nate negli ultimi anni e che hanno reso la vita difficile ai giovani e ai meno giovani in cerca di un’occupazione. Il contratto a tutele crescenti, nelle intenzioni del Governo, va a sostituire i contratti come i CoCoPro, che negli ultimi anni hanno creato la condizione di forte precariato e di instabilità che oggi contraddistingue il mercato lavorativo italiano. Va specificato che, questo, sarà un contratto a tempo indeterminato, parola quasi scomparsa dal nostro vocabolario negli ultimi 10 anni. Questo contratto, però, non va a sostituire i contratti a tempo determinato, che possono ancora essere utilizzati dai datori di lavoro per le assunzioni: un neo-assunto potrà entrare nel regime del contratto a tempo determinato o a tutele crescenti, il tutto a completa discrezione del datore di lavoro, che avrà la facoltà di scelta. Saranno abolite solo quelle circa 40 formule contrattuali del precariato in favore di un unico contratto che offre le adeguate garanzie ai lavoratori e ai datori di lavoro, come gli sgravi fiscali, a cui non può avere accesso se opta per un contratto a tempo determinato.

I vantaggi per i lavoratori assunti con il contratto a tutele crescenti

Oltre agli indubbi vantaggi per il datore di lavoro, questa formula contrattuale è stata appositamente studiata anche per garantire adeguate tutele anche ai lavoratori.

  • Il primo grande vantaggio è, indubbiamente, la possibilità di un’assunzione a tempo indeterminato. Analizzando con attenzione questo aspetto, infatti, appare evidente come la possibilità di avere tra le mani una garanzia per il futuro possa rappresentare un nuovo motore per la nostra società, un incentivo per i giovani per ricominciare a credere in un Paese migliore. Dopo tanti anni in cui il tanto agognato ‘posto fisso’ era appannaggio di pochi privilegiati, mentre gli altri dovevano nuotare nel mare della precarietà a causa delle sfavorevoli condizioni di assunzione per i datori di lavoro, la riforma 2015 apre nuovi spiragli.
  • Non esisteranno più gli inquadramenti professionali ibridi: i dipendenti potranno essere solo assunti a tempo determinato e indeterminato o potranno collaborare come esterni, inquadrati come lavoratori autonomi in regime di Partita IVA; non esisteranno più le assunzioni e le collaborazioni con finta partita IVA che, stando alle parole del Premier Matteo Renzi, che ha fortemente voluto questa riforma, sono state tra le principali cause della demoralizzante precarietà lavorativa in Italia.
  • Previsto l’assegno di disoccupazione ASDI dal primo maggio 2015 per i lavoratori che nonostante abbiano fatto ricorso al NASPI siano rimasti inoccupati privilegiando naturalmente i lavoratori con nuclei familiari in condizioni economiche gravi e con figli minorenni e successivamente  ai lavoratori vicini al pensionamento privi dei requisiti per accedere ai trattamenti di quiescenza.
  • Prevista l’inndennità di disoccupazione per i lavoratori con contratti di lavoro co co pro iscritti alla Gestione separata INPS dal primo maggio 2015, non pensionati e privi di partita IVA, e che non siano stati dosoccupati per cause di licenziamento in base al reddito del nucleo familiare la cui durata è pari alla metà delle mensilità contributive versate e comunque non superiore a 6 mensilità.
  • I contratti a progetto e altre tipologie simili decadranno completamente dal momento dell’entrata in vigore del contratto a tutele crescenti.

Maggiori tutele e protezioni saranno garantite ai lavoratori assunti con questa nuova tipologia di contratto a tempo determinato a tutele crescenti: uno dei capisaldi della manovra per la riforma del lavoro 2015, infatti, è l’introduzione di una regolamentazione severa e definita sull’imposizione del salario minimo, che deve garantire dignità al lavoratore e deve essere commisurato alle mansioni svolte. Sono, inoltre, garantiti tutti gli ammortizzatori sociali previsti per legge in caso di licenziamento, maternità, infortunio e malattia: ancora oggi, questi che dovrebbero essere dei diritti inviolabili del lavoratore, sono invece dei veri e propri privilegi la legislazione in materia concede esclusivamente ad alcune categorie di lavoratori, escludendone altre.

Introducendo queste misure a tutela dei lavoratori e della loro professione, il Governo è convinto che si possano creare nuove opportunità di impiego per tantissimi disoccupati: il tasso di disoccupazione in Italia ha raggiunto livelli allarmanti, toccando quota 13,2%, segnando quindi il record negativo storico, che sale fino al 43,3% se si prendono in considerazione i giovani. Questa è una situazione che non può più essere sostenuta né dal Paese né dalle singole famiglie e che si spera di migliorare con la riforma. Dalle prime proiezioni e simulazioni, emerge che questa potrebbe essere una soluzione di tamponamento valida per creare nuova occupazione e eliminare un po’ del peso del precariato dalle spalle degli italiani, anche se ancora c’è tanto lavoro da fare e, come sempre, non è tutto oro quello che luccica.

Svantaggi delle tutele crescenti

Se quelli appena descritti sono tutti i vantaggi dei lavoratori assunti con questa tipologia di contratto, è bene valutare anche l’altra faccia della medaglia, quella degli svantaggi, perché potrebbe riservare alcune amare sorprese e far rivalutare in parte la bontà del progetto del Governo.

Abolizione dell’articolo 18

L’abolizione dell’Articolo 18 è lo svantaggio più importante per i lavoratori assunti con i nuovi contratti a tutele crescenti, che porta con sé innumerevoli conseguenze sulla vita lavorativa. Negli ultimi anni si sono susseguiti innumerevoli dibattiti e scontri sulla possibilità o meno di abolire questo articolo a tutela dei lavoratori, in modo tale da dare uno scossone al mercato del lavoro che stava rischiando di collassare. Sindacati e forze politiche sono scesi in campo per difendere questo articolo da una parte e per abolirlo dall’altra ma, fino a questo momento, non si era trovata una soluzione di compromesso che potesse rendere meno dolorosa l’abolizione di una norma fondamentale per la dignità e il rispetto dei lavoratori.
Con questo nuovo decreto che introduce la nuova tipologia contrattuale è stato possibile e, quindi, dal momento dell’entrata in vigore i neoassunti non potranno più godere della protezione in caso di licenziamento.

Questo significa che il datore di lavoro potrà procedere con i licenziamenti della sua forza lavoro in qualunque momento, senza un pretesto e senza preavviso: questo vale per i lavoratori neoassunti ma anche per quelli che, in futuro, saranno in azienda da diversi anni sotto contratto a tutela crescente. Infatti, per legge, il datore di lavoro potrà decidere se l’esclusione dalle tutele dell’articolo 18 dovrà valere solo per i primi tre anni (in regime di neo-assunzione) o se tale condizione dovrà protrarsi per i successi 6, 12 o 15 anni. La scelta del periodo non può essere fatta in via del tutto arbitraria, ma deve sempre tenere conto dell’anzianità di servizio o dell’età anagrafica del lavoratore.

L’azienda, quindi, può liberamente disporre del lavoratore e non ha più l’obbligo del reintegro in caso di contestazione, a patto che il licenziamento non venga dimostrato sia avvenuto per cause di discriminazione religiosa, razziale, sessuale o politica. In questi casi, infatti, il licenziamento viene comunque considerato illegittimo e il lavoratore torna sotto la tutela dell’Articolo 18.
Il lavoratore, dunque, con il contratto a tutele crescenti, può ritrovarsi disoccupato da un giorno all’altro senza un’apparente motivo che giustifichi il licenziamento ma, a fronte di questo, il datore di lavoro è comunque tenuto al pagamento di un indennizzo, calcolato sulla base degli anni di servizio, che non può mai essere inferiore al valore di un mese di stipendio. Di media, solitamente, le aziende corrispondono da uno a tre mesi di stipendio per indennizzare la perdita del lavoro.
Vi sembra un indennizzo sufficiente a fronte dell’elevato rischio connesso alle inevitabili oscillazioni del mercato?

Quali possono essere le conseguenze effettive del contratto a tutele crescenti?

Senza togliere i meriti per quanto il Governo sta cercando di realizzare a tutela dei lavoratori, questa nuova tipologia di contratto “a tutele crescenti” inserita nel Jobs Act lascia aperte delle falle che, da diverse fazioni politiche, sono state aspramente criticate.
I vantaggi del contratto a tutele crescenti sono indubbie: oltre ad agevolare i lavoratori dando loro una parvente condizione di normalità, permette alle aziende di godere di alcuni benefici fiscali importanti che, vista la crisi, possono salvare molte ditte e imprese dal fallimento, agevolando l’ingresso nel mondo del lavoro dei giovani che, fino a che persisteranno le attuali condizioni contrattuali, potrebbero trovare difficile qualsiasi inserimento.
Ovviamente, a fronte di così importanti vantaggi, i lati negativi non mancano: stando alle parole del Governo, se l’Italia vuole tornare a crescere ed essere una delle potenze economiche del mondo e d’Europa, è necessario che tutti facciano la propria parte, trovando compromessi utili al benessere di tutte le parti.

I sacrifici ci devono essere, da una parte e dall’altra: solo quando i contratti a tutele crescenti e la riforma del lavoro sarà attuata completamente si potranno tirare le somme sull’effettiva efficacia dell’intera manovra di rivoluzione nel mondo del lavoro.

Insomma… mi spiegate dove stanno le modifiche che ci faranno dire addio al precariato???

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